F.A.Q

Uno stop loss è solitamente un valore (o livello di prezzo) di azione o fondo che rappresenta la perdita massima tollerabile per un investitore; se tale valore viene raggiunto la piattaforma invia un ordine automatico di vendita e si esce dalla posizione. Lo stop loss si utilizza come “sicurezza”, per lasciare che la posizione “corra” ma al contempo in caso di andamento opposto alle aspettative, si possa uscire salvaguardando i guadagni già maturati. Una alternativa allo stop loss è il “trailing stop”.

L’anatocismo è la capitalizzazione degli interessi sul capitale: ossia gli interessi maturati nel periodo di riferimento, sommati al capitale, determinano la base su cui calcolare gli interessi per il periodo successivo. In questo modo vengono calcolati “interessi su interessi” a danno del debitore.

Per questo motivo la Deliberazione 9 febbraio 2000 CICR ha vietato l’anatocismo anche nell’ambito dei Finanziamenti con piano di rimborso rateale.

In particolare secondo l’articolo 3 comma 1 della Deliberazione, gli interessi di mora non possono essere capitalizzati: Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica.

La Duration può essere considerata la variabile che misura il “baricentro” di un investimento finanziario.

Come si può ricavare dalla definizione matematica, un normale titolo obbligazionario zero coupon (ovvero senza stacco cedolare) ha una duration equivalente alla sua durata. Per tutti quei titoli che staccano cedole la duration permette dunque di confrontarli con un titolo zero coupon, rispondendo alla domanda:”quale dovrebbe essere la durata di una obbligazione zerocoupon con lo stesso livello di rischio di questa obbligazione a tasso fisso?)

Talvolta si parla di duration facendo riferimento alla “duration modificata” che è l’indicatore comunemente utilizzato per misurare il rischio di tasso d’interesse di un titolo obbligazionario. Tale variabile ci permette di stabilire di quanto salirà (o scenderà) il prezzo di un titolo a tasso fisso in seguito ad una riduzione (od incremento) di 1 punto percentuale dei tassi di interesse.

Per fare un esempio se un BTP a 3 anni avesse una duration pari a 2,89, ciò implicherebbe che un rialzo dei tassi dal 3,50% al 4,50%, comporterebbe un calo del valore del BTP da 100,50 a 97,61. Simmetricamente, una riduzione dei tassi dal 3,5% al 2,5% comporterà un nuovo prezzo per il BTP di 103,39.

L’indice di Sharpe (Sharpe Ratio) è un indicatore sintetico di informazioni relative sia al rischio che al rendimento atteso. Introdotto nel 1966, prende il nome dal suo ideatore, premio Nobel per l’economia. La formula per il calcolo è:

[(rendimento dell’investimento) – (rendimento privo di rischio o risk free)]/(volatilità del rendimento dell’investimento)

Proviamo ad applicarlo a due situazioni alternative:

– Investimento A: rendimento 10% e volatilità 12%

– Investimento B: rendimento 12% e volatilità 19%

L’investimento risk free, prendendo in considerazione il Bot a sei mesi, genera un rendimento annuo del 2%.  Di conseguenza:

Investimento A: (10-2) / 12 = 0,666

Investimento B: (12-2) / 19 = 0,526

In base all’indice di Sharpe, il caso dell’investimento A risulta vincente in termini di rapporto rendimento/rischio,  nonostante presenti un rendimento inferiore all’altro.

Com’è possibile? L’investimento A ha infatti generato lo 0,6% periodico di rendimento aggiuntivo a quello privo di rischio (2%), ogni 1% di volatilità. L’investimento B,  invece, ha generato un extra-rendimento inferiore, pari allo 0,526%. Il risparmiatore non può limitarsi al rendimento assoluto senza considerare la volatilità e quindi i rischi corsi per ottenerlo:  se la perfomance a 12 mesi è alta, ma ancora più elevata è la volatilità, è possibile che nel semestre successivo il valore dell’investimento scenda.

I contratti Swap sono una delle varie tipologie di contratti derivati esistenti sul mercato. In generale un contratto di questo tipo prevede lo scambio tra due controparti di due flussi di cassa. Ammontare e qualità sono stabilite ad una data prefissata. La definizione è molto generale, perchè in effetti esistono varie tipologie di contratti SWAP, i più comuni dei quali sono gli IRS (Interest Rate SWAP), i Currency SWAP, ed i CDS (Credit Default SWAP).

 Interest Rate Swap (IRS). Prevede lo scambio tra le due controparti di un flusso di cassa a tasso fisso contro uno a tasso variabile; ovviamente ad ogni scadenza determinata si scambierà solo la differenza di valore tra le due, che potrà essere positiva o negativa in funzione del valore del tasso variabile. Il tasso variabile di solito è determinato dall’andamento di un indice o altro parametro di riferimento, e pertanto si entra in un contratto di questo tipo o con finalità di copertura, o se si vuole scommettere su un ribasso\rialzo dei tassi a seconda del “lato” del contratto che si sceglie di impugnare.

Currency Swap. Ha lo stesso principio del contratto precedente, solo che alla base dello scambio ci sono contratti denominati in valute differenti. Questi contratti sono utilizzati per eliminare il rischio di cambio (data dalla fluttuazione delle valute nei mercati) fra due diverse valute, quindi la funzione principale è quella di copertura (“hedging” in inglese).

Credit Default Swap (CDS). Sono particolari contratti, quotati solitamente su mercati OTC (quindi non regolamentati) utilizzati per proteggersi dal rischio di insolvenza di una terza parte. Sono stati ideati dalla J.P.Morgan negli anni ‘90 allo scopo di ridurre i rischi assunti e liberare le relative riserve traslando tali rischi su una terza parte. Di solito vi prende parte un acquirente (protection buyer) e un venditore (protection seller) in cui il venditore si impegna ad effettuare un determinato pagamento nel caso si verifichino specifici eventi chiamati credit event. I CDS sono dei parametri di riferimento molto importanti per capire lo stato di salute di una società, di un ente o di uno Stato, in quanto le loro quotazioni sono indicatori dell’effettiva probabilità di fallimento dei suddetti. Inoltre, il valore di un CDS è indipendente dai giudizi delle agenzie di rating e viene aggiornato in tempo reale.

 

 

Il Tracking Error viene utilizzato per la valutazione dei fondi d’investimento rispetto al loroindice di riferimento. Coincide conla deviazione standard (la misura di quantoi valori assunti dalla variabile considerata si discostano dalla media) della differenza tra la performance di un portafoglio e quella del suo benchmark. La Tracking Error Volatility (TEV) misura invece la volatilità di questa differenza. Tale scostamento è tanto maggiore, sia in negativo che in positivo, quanto più il gestore del fondo ha tentato di battere il benchmark, sovrappesando/sottopesando alcuni titoli piuttosto che altri. Se la TEVpresenta un valore elevato, il portafoglio considerato è caratterizzato da una gestione particolarmente attiva, che non si è limitata a replicare l’indice di riferimento. Al contrario, più il valore è ridotto (avvicinandosi allo zero) più la gestione è passiva. Si tratta quindi di un indicatore che rappresenta il rischio aggiuntivo assunto dalla gestione rispetto al benchmark. L’Information Ratio (IR) fa parte dei parametri di rendimento corretti per il rischio (risk-adjusted). Rappresenta il rapporto tra il Tracking Error del fondo con la sua Tracking Error Volatility, costituendo una misura sintetica sia di extra-rendimento sia di extra-rischio del fondo rispetto al benchmark. L’IR mette in evidenza la bravura del gestore nell’ottenere risultati migliori dell’indice di riferimento, massimizzando il rendimento differenziale (Tracking Error) e minimizzando la rischiosità, sempre su base differenziale (Tracking Error Volatility). Maggiore è l’IR, migliore è infatti la qualità della gestione. Viceversa, un portafoglio gestito con una strategia passiva presenterà un valore prossimo allo zero. A differenza dell’indice di Sharpe, l’IR confronta il fondo con il suo principale parametro di riferimento anziché con un generico investimento privo di rischio.

Il VaR, Value at Risk o Valore a Rischio è un indicatore statistico del rischio di mercato. Sintetizza il rischio attraverso una distribuzione di probabilità dei profi tti e delle perdite potenziali. Rappresenta una misura della massima perdita nella quale, con una certa probabilità, un portafoglio potrebbe incorrere in un determinato orizzonte temporale. Questo parametro dipende da fattori come l’arco di tempo considerato, il livello di confidenza cioè la probabilità (di solito si utilizza il 95% o il 99%, ma può essere definita a propria discrezione) e la valuta utilizzata per denominarlo. Ipotizziamo di detenere un portafoglio, di conoscere il suo valore di mercato a inizio giornata e di considerare un VaR di 1 giorno di € 1.000 a un livello di confi denza del 95%. Questo signifi ca che a fi ne giornata possiamo aspettarci, con una probabilità del 95%, una massima perdita non superiore a € 1.000, a patto che ci si trovi in condizioni di mercato normali. Al contrario, possiamo aspettarci che il valore scenda più di quell’importo con una probabilità del 5%. La popolarità del Value at Risk è legata alla sua utilità nell’aggregare in un solo indicatore diverse componenti del rischio di mercato: l’analisi del VaR viene infatti effettuata sulla base di diversi aspetti cui può essere esposto un portafoglio, come il rischio azionario o quello legato ai tassi d’interesse e al cambio valutario.

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